La donna del lago, ONP (1)

Agradezco infinitamente a Irishrover su crónica de la función del estreno de La donna del lago en la ONP.

Gran decepción. El nivel de la puesta en escena es una nulidad arstísitca. No se comprende nada, es pesada, es vieja, no es original, lo que lastra la emoción.

El decorado es clásico con ideas descabelladas en las que nadie hubiera caído. Aparece un harpa durante un solo de harpa del segundo acto. Un árbol que desaparece sin ninguna gracia una vez finaliza la escena que hace que nos preguntemos que hacía allí y por qué desapace.

En cuanto a la dirección de actores, es muy simple, es inexistente.

Uno podría ofuscarse con la puesta en escena de Loy de Ginebra, y los puristas de los libreto podrán decir que éste no debe cambiarse en ningún caso, pero comparado con lo que Pasqual nos propone respetando el libreto, tiene más magia y hechizo.

Lo único que Pasqual pide a los cantantes es ponerse en el primer plano de la escena en los conjuntos y en sus arias, en lo que yo llamaría prehistoria de la ópera, algo viejo y caduco.

Es algo extraño: una mezcla de puesta en escena convencional – los decorados, el vestuario de los papeles principales – y lo moderno en el sentido en que el coro está vestido como si fuera para La Traviata y que ciertos pasajes parecen querer desmarcarse del tradicionalismo de la producción.

Además tres bailarines intervienen aquí y allá, con armadura, en una coreografía extraña, que intenta representar el dilema de Elena, presa entre tres hombres. La danza se supone que simboliza lo que ocurre en escena, y actúa por los cantantes. El efecto cae en el ridículo y está totalmente desfasado.

Al final, si bien los cantantes fueron copiosamente aplaudidos y felicitados, el equipo de la puesta en escena, por el contrario, fué recibido con abucheos.

A nivel de voces, poco que decir. Flórez en gran forma, una voz bastante pequeña, pero que se oye y, sobre todo, se le ha de reconocer el gran dominio de su instrumento vocal. La gran aria del rey la cantó perfectamente y con ella emocionó al público.

La DiDonato, no tan bien como en Ginebra. Hay que decirque la puesta en escena no la ayuda en nada y que el vestido que lleva tampoco, debe tener cuidado constantemente en que no se líe con sus pies, lo que hace que se mueva lentamente. A pesar de todo estuvo fantástica, en el rondó final estuvo magnífica.

La DiDonato canta Tanti affetti, de la función del 14 de Junio.

Vídeo de thecelticspirit.

La Barcellona como Malcolm estuvo impresionante. Tiene un timbre un poco ingrato pero una pujanza y una maestría de la voz destacable.

En cuanto al tenor Colin Lee, en el muy difícil papel de Rodrigo, se defendió bien. Se desenvolvió mejor, en mi humilde opinión, que Kunde en Ginebra.

No puedo evitar pensar que la puesta en escena evitó que los cantantes desarrollaran todo su potencial. Es una lástima cuando se ha visto lo que Flórez es capaz de hacer en La fille du régiment o lo que puede hacer la DiDonato como Dejanira cuando están bien dirigidos.

Resumiendo un espectáculo deceptionante, aunque los amantes del belacanto le encontrarán el punto, si pueden hacer abstracción de la terrible puesta en escena.

Irishrover

Ver La donna del lago, ONP (y 2) yLa donna del lago, GTG.

Publicado el 17 junio 2010 en General y etiquetado en , , , , , , . Guarda el enlace permanente. 11 comentarios.

  1. @dandini, lástima que, a veces, nos tengamos que conformar sólo con el canto…

    @Joaquim, a ver si puedo explicar más dentro de poco…

    @Maurizio, gracias por la extensa crónica de tu amigo… Ya veremos si coincido… 😉

  2. La crónica de un amigo italiano:

    Joyce DiDonato e Juan Diego Florez non sono ancora all’apice della loro carriera! Incredibile: dopo l’ultimo incontro a Londra, sembrava che tutto fosse stato scritto per onorare la bellezza della voce di due tra i più importanti cantanti di sempre, nei ruoli vocali di competenza, invece dopo Parigi e «La donna del lago», occorrerebbe spendere altre parole; cantare le gesta di due giovani cantanti, eroi della musica, nell’Olimpo tra le muse e gli dei, certi che presto si dovranno spendere altre parole e cercare nuovi aggettivi.

    Sarebbe facile o difficile, a seconda se si guarda al contingente o alla storia dell’Opera che è anche e soprattutto quella della vocalità. Daniela Barcellona ha accompagnato i protagonisti, da primadonna, con grande fermezza, con piglio sicuro, dotata di un timbro perfetto per il personaggio Malcolm, quasi che, continuando nella metafora, fosse colei che tiene saldamente tra le mani le chiavi del Paradiso ed apre o chiude la porta solo a chi potrà entrare nella leggenda del bel canto, grande tra i grandi.

    Roberto Abbado ha ben diretto un’orchestra che ha figurato ottimamente quale interprete dell’arte rossiniana, riuscendo ad amalgamare, con una concertazione molto impegnata, il dramma di Elena e le colorature rossiniane, il virtuosismo del protagonista maschile e le mille «nuances» romantiche di cui è impregnata l’opera; rimane il fatto che a tratti il suono appare pesantuccio e nonostante lo sforzo interpretativo della regia e della scenografia, l’occasione che poteva essere storica, manca il bersaglio, di pochissimo, ma lo manca.

    La prestazione vocale è sicuramente di grande, indiscutibile impatto; una «donna» cantata come meglio non ci si sognerebbe oggi, anche nel finale dove altre interpreti hanno comunque segnato punti a loro favore difficilmente raggiungibili, come la signora Caballè, ma a questo sublime ascoltare, non corrisponde, a mio modo di vedere, un’altrettanta genialità gestuale. JDiDonato canta con maestria; il mezzosoprano americano ha librato la voce con con abilità, il rondò finale «Tanti Affetti», racchiude o meglio racchiude per poi far sprigionare note emesse con con una musicalità prodigiosa. Registicamente e scenicamente manca l’idea alata, quella che risolve un libretto non felicissimo, quella che porta il pensiero a spiccare il volo del romanticimo rossiniano.

    La parte scenica rimane come un ciclista su di una salita dolomitica, mentre preferirebbe un falsopiano. Leggermente indietro; a tratti non è adeguata. Curata, ma quasi vecchia. Specie se, ripeto, paragonata alla freschezza dei tre grandi interpreti, tra i quali spicca, quasi ovviamente, colui che viene considerato tra i più importanti interpreti rossiniani di sempre: JDFlorez. Indiscutibile e per il quale si spenderebbero solo belle ed entusiastiche parole. Emissione chiara e brillante, acuti stupendi e com’è stato detto da tempo, lanciati quasi con insolenza, data e constatatata la loro perfetta esecuzione; espressione trasognata straordinaria, là dove occorre.

    Eccezionale per un tenore che non possiede l’ampiezza di Pavarotti o in altro settore, di Domingo. Ma il teatro è teatro, per fortuna, ormai, non solo per la presenza di autentici fuoriclasse, ma è uno spettacolo completo, in cui regnano luci ed ombre, colori e sfumature, vestiti e idee non tradizionali, esperienza e genio, imnovazione e slanci sul futuro; costumi moderni e legami di particolari con il passato, cioè con il periodo storico che si vuol rappresentare.

    Non dico che ciò che si è visto abbia deluso; si può solo affermare che non splendeva come invece splendeva la parte vocale.
    Trionfo per JDFlorez; grandi ovazioni per la DiDonato; applausi infiniti e convinti per Daniela Barcellona.

    Tutti gli altri hanno cantato bene. Anzi molto bene. L’edizione e’ stata vocalmente tra le più importanti produzioni degli ultimi anni a Parigi, ma si potrebbe allargare il discorso anche alle rappresentazioni operistiche dell’anno, in Europa….» Juan Diego Flórez est sans doute le meilleur titulaire actuel d’Uberto qu’il a chanté pour la première fois en France au Festival de Montpellier en 2002. En très grande forme, le ténor péruvien se montre aussi à l’aise dans les passages élégiaques, qu’il nuance avec une rare élégance, que dans les airs de bravoure où la vélocité de ses vocalises, exécutées avec une facilité désarmante, électrisent l’auditoire»…

    Simon Orfila, Douglas, ha dimostrato tutto il suo valore ed il miglioramento costante di una voce che acquisisce di anno in anno, autorevolezza, dimostrando che i buoni primi risultati, al suo apparire, non erano altro che i primi moti di una classe e di uno stile, oggi ben visibili ed udibili; forse potrebbe rendere più elastica la sua emissione, stemperando in alcuni passi, il colore bronzeo che possiede e che potrebbe dar l’impressione che sia l’unico modo che possiede di offrirlo ai personaggi che interpreta. Ma non è statico, non è una roccia dai bei colori. Ogni tanto si scorgono fiori.

    «Eccomi a voi» di Rodrigo, è stato cantato meglio da altri cantanti, non in teatro però, che io ricordi, rispetto a Colin Lee. Cantante che mi piace, in ogni caso. Gli acuti sono eccellenti. La tecnica è ferrea. Non è un baritenore completissimo, soprattutto nelle zone più basse ha certo delle difficoltà; tende a forzare a far la voce «grossa», a spingere per dimostrare di essere quel che ancora non è o non sarà mai, però, ce ne fossero di interpreti come lui che sanno far esaltare le qualità, anche se non sono perfettamente a loro agio. Non solo si è preparato con cura, ma è certamente un professionista di alto livello.

  3. Lamentablemente habitual en las puestas en escena operísticas de Pasqual. Tristan en el Real, Comte Ory en Pesaro y ahora esto. Quizás lo último interesante fuese el Peter Grimes del Liceu.
    No sabemos nada de Orfila?

  4. Una auténtica lástima lo de la puesta en escena.Esto de que la dirección de actores sea inexistente no debería ocurrir nunca .Bueno ,suerte que la parte musical fue gloriosa.

  5. Eso espero! Ya os lo contaré en el blog…

  6. Mañana me voy haci allí a verla, ya os contaré qué me parece. Por lo que parece, almenos a nivel vocal valdrá la pena, si no es así… siempre nos quedará París! 😉

    Grácias por la crónica!

    Albert

  7. Very nice translation Mei! Congrats! I’m waiting for your point of view now, since you miraculously got a ticket… 🙂

  8. Muchas gracias por la crónica, Irishrover… 🙂

Replica a Albert Cancelar la respuesta